top of page

Canone e modernità

  • arch. Guido Murdolo
  • 6 dic 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Capisco che il tema possa sembrare desueto e fuori moda, ma un recente scambio di opinioni con alcuni colleghi ne ha rivelato risvolti nuovi ed attuali.

Da decenni ormai nelle aule universitarie si parla di crisi dell'architettura, la cui causa da molti viene attribuita al mancato superamento dei canoni architettonici classici.

I canoni architettonici, da Vitruvio a Leon Battista Alberti, rappresentano il modus operandi per dare ad un edificio ed alle sue parti un rapporto dimensionale armonico tale che ogni parte possa relazionarsi con il tutto e viceversa. Tale processo dovrebbe garantire quella venustas tanto decantata quanto indefinita, per dotare l'edificio di quella Bellezza, oggettiva e assoluta, più consona alla metafisica che non alla filosofia.

Nella discussione alcuni sostenevano, non senza ragione, che quel tipo di canone architettonico non sia più utile alla concezione moderna di architettura, e che i tentativi del razionalismo prima e decostruttivismo poi altro non siano (stati) che modi di sperimentare nuove forme espressive. La domanda è: forme espressive, ma espressive di cosa? Qual è il fine ultimo dell'architettura? Possiamo ridurlo ad un quadro esigenziale utilitaristico e pragmatico, o dovremmo tendere a qualcosa di più alto?

Io ritengo che aver perso il senso delle proporzioni armoniche, e con esso la capacità di crearle, ci abbia fatto perdere anche la consapevolezza che una architettura, in quanto antropizzazione di un luogo, debba fare riferimento a tutte le esigenze umane, che non sono limitate a quelle pratiche ma che si estendono anche a quelle psicologiche e spirituali, anche quando tali riferimenti possano essere fraintesi (confondere la spiritualità con la religione è segno evidente di una crisi intellettuale).

Il punto è che dotare una architettura di proporzioni tali da fare riferimento a principi metafisici non comporta una limitazione espressiva, al contrario libera una forza creativa più ampia, anche e soprattutto grazie alle possibilità tecnologiche raggiunte.

Ma, parlando di architettura e non di edilizia, siamo veramente sicuri che tale consapevolezza sia andata perduta? Siamo certi che le grandi opere di architettura contemporanea non siano state concepite anche in relazione a tali principi? Osservandole, non ci viene il sospetto che la crisi sia più negli occhi di chi guarda piuttosto che nella mente di chi crea, ancora oggi, capolavori architettonici?

© 2017 by Guido Murdolo

bottom of page