Progetto partecipato: facciamo chiarezza
- di Guido Murdolo
- 13 mag 2019
- Tempo di lettura: 3 min

Ci sono parole e concetti che catturano l'immaginario e assumono grande valenza comunicativa. Il caso più evidente è quello della progettazione partecipata (o partecipativa), suggerita dalla normativa vigente, sbandierata da molte amministrazioni come buona pratica, ma troppo spesso male interpretata.
La procedura può essere applicata a qualunque trasformazione e serve a coinvolgere nel processo decisionale tutti i soggetti interessati. Se applicata correttamente, la procedura garantisce la tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti e ne agevola la partecipazione. Nel caso delle trasformazioni del territorio cittadino, i soggetti coinvolti sono essenzialmente la Pubblica Amministrazione, i soggetti pubblici e privati proprietari delle aree o degli immobili interessati, gli investitori, le attività produttive della zona e ovviamente i cittadini.
Tutto parte dalla decisione dell'Amministrazione sulla natura della trasformazione necessaria (che sia la risistemazione di un'area degradata, il recupero di un immobile vuoto o la realizzazione di una infrastruttura); questa decisione dovrebbe scaturire ovviamente da uno studio delle reali esigenze della città (non a caso ho usato il condizionale, ma questo è un tema che tratterò in un'altra occasione).
A questo punto entra il gioco il tema di questo articolo: la progettazione partecipata. Questo strumento è l'unico capace di dare risposte concrete a esigenze reali, ma solo se nella sua corretta declinazione.
La procedura errata viene solitamente eseguita in questo modo: l'amministrazione promotrice prima elabora un progetto internamente attraverso i propri tecnici, avendo già stipulato accordi con i soggetti privati e gli investitori, solo dopo sottopone il progetto all'attenzione dei cittadini e, nell'illusorio rispetto della "partecipazione", chiede a questi ultimi di sollevare eventuali osservazioni. Ovviamente l'accoglimento delle osservazioni sarà quasi impossibile perché, pur se oggettive e valide dal punto di vista dell'interesse pubblico, richiederebbe una rivisitazione del progetto talmente invasiva da non essere percorribile. Ecco che i comitati cittadini sorti per l'occasione diventano antagonisti dell'amministrazione.
Al contrario, la procedura corretta di una autentica progettazione partecipata da subito raccoglie le istanze e le esigenze di tutti i soggetti, compresi i cittadini, e solo successivamente dà il via alla progettazione di massima (possibilmente attraverso un concorso di idee), inserendo in quest'ultimo le risposte al quadro esigenziale ricavato nella consultazione. Una volta redatto (ovvero una volta deciso il vincitore del concorso) il progetto viene nuovamente sottoposto al parere dei soggetti coinvolti, eventualmente discusso e quindi, solo al termine di questa procedura, approvato.
Ovviamente la corretta procedura è più faticosa e più dispendiosa nella prima fase, in quanto richiede lavoro e l'intervento di professionisti qualificati sia nella fase di ascolto e di definizione del quadro esigenziale che nella redazione e nell'esecuzione del bando per il concorso progettuale, ma sicuramente lo sforzo è ripagato dal risultato.
Solo in questo modo la cittadinanza sarà realmente partecipe delle trasformazioni del proprio territorio, avendo lavorato in collaborazione con l'amministrazione. Avendo utilizzato inoltre lo strumento del concorso di idee, il progetto sarà il migliore possibile, essendo frutto della scelta tra diverse interpretazioni e proposte da parte di un gran numero di progettisti qualificati. Inoltre l'amministrazione avrà dimostrato una reale attenzione alle esigenze della città e dei cittadini.
L'utilizzo diffuso della corretta procedura della progettazione partecipata può essere applicato a tutte le scale territoriali (piazza, quartiere, città, area metropolitana) per garantire, attraverso una collaborazione attiva, il miglior risultato possibile.
Perché un meccanismo così collaudato ed efficace non viene applicato diffusamente? In parte per i motivi di cui sopra (più tempo, più impegno, maggiori costi iniziali), in parte perché le logiche che sovrintendono le trasformazioni del territorio non sempre sono dettate da un reale interesse al bene comune.
Non ultima causa è anche la composizione della classe politica territoriale, non sempre scelta per competenza.